DA DENTRO UNA GIORNATA VISSUTA
Al sabato, durante lo struscio per il corso, giocavo a riconoscere il fotografo dal poster della mostra. Ero già appassionato di fotografia e i nomi in cartellone alla spazio Forma erano illustri: Cartier-Bresson, Erwitt, Capa, i fotografi Magnum, Basilico, Jodice. Le mostre erano troppo costose e poi, se proprio volevo riguardare quelle immagini, mi bastava andare su internet. Vivevo a Milano già da diversi anni, nei negozi non riconoscevano il mio accento e spesso mi chiedevano da dove venissi. Sono romagnolo, rispondevo. La curiosità spariva subito dopo, ridiventavo un altro terrone fuori sede venuto in città per lavoro.
Un sabato, riconobbi di nuovo la foto, ma in modo diverso. Non è che l’avevo già vista, c’ero già stato. Non era famosa, era familiare. Quei lettini inconfondibili sulla battigia schiumosa, il profilo schiacciato di quelle onde e le vele che ne solcavano le creste spumeggianti. Quella era Romagna. Dovetti avvicinarmi e leggere: Marco Pesaresi, Rimini.
Vidi lì, appeso al muro, bloccato in rettangoli senza colore, il patrimonio mitico della terra in cui ero nato. Ne provai una dolce nostalgia, istantanea. Quelle foto sembravano provenire da una giornata che avevo vissuto. Una giornata dell’infanzia. So che non si trattava di un giorno vero, era una giornata interiore, senza tempo né spazio, ma era comunque inscritta in quello che avevo davvero vissuto.
Se quella “giornata” poteva arrivare ai muri dove i giorni precedenti erano stati Cartier-Bresson, Capa e gli altri, allora la “mia storia” poteva diventare esemplare, anzi universale, come quella di chiunque altro. Stava tutto nel narratore. Questo è l’insegnamento che ho ricevuto da questo strano, un po’ buffo, romagnolo, con una macchina giocattolo e l’accento uguale al mio.
Grazie,
Daniele Prati