Versione testuale dell’intervento di Daniele Prati, di Romagna Street Photography, all’incontro con il pubblico organizzato e ospitato dall’Associazione TANK Sviluppo Immagine nell’ambito del PerCORSO di Fotografia, martedì 8 marzo 2016.


IL SENSO FOTOGRAFICO

 

Il senso fotografico

 

Questo strano simbolo è una rappresentazione schematica del processo di produzione del senso, o se preferite del significato, all’interno di una fotografia. Ed è anche quello a cui penso ogni volta che cerco di scattare una foto. Il diagramma è opera di John Berger e lo trovate in Capire una fotografia  di cui consiglio la lettura perché è, insieme al trittico sacro, uno dei saggi più ispiranti e interessanti sulla fotografia (ne ho parlato anche qui). Il trittico sacro è composto dal Barthes della Camera chiarala Sontag de Sulla fotografia e il Benjamin dell’Opera d’arte ecc e di Piccola storia della fotografia.

Uso questo diagramma come riferimento perché voglio che le mie foto, e sto parlando a livello personale, abbiano un senso, cioè producano un significato. Forse sono un po’ ossessionato da questa cosa per via dei miei studi di semiotica, ma tant’è. Proprio in questi studi ho imparato che l’uomo ha un solo modo di dare significato alle cose, alle esperienze, alle immagini e, in senso ampio, alla vita: la narrazione, il raccontare storie, il mito o, come va di moda dire ora, lo storytelling, nel nostro caso storytelling visuale.

Perché le mie foto abbiano un senso, quindi, devono raccontare una storia. E quindi vale la pena domandarsi quali sono gli elementi universali presenti in ogni storia. Pescando tra le nozioni apprese durante gli studi di semiotica ora vi propongo un compendio stringatissimo di semiotica narrativa.

Prima considerazione. Dal punto di vista più ampio possibile, e più antico anche, gli elementi fondamentali sono un inizio, uno svolgimento e una fine. Chiamateli situazione di partenza, sviluppo e nuovo equilibrio, chiamateli atti, chiamateli come volete, ma ogni storia ha uno svolgimento nel tempo, una direzione. Nel diagramma, come avrete immaginato, questo è rappresentato dalla linea tratteggiata che ha una freccia, va da qualche parte quindi, e c’è prima e dopo l’elemento circolare. È tratteggiata perché è fatta di tempo “suggerito”, “inferito” dall’interpretazione dell’azione dentro al cerchio. A pagina 88 del libro troverete scritto questa cosa: “Quando riteniamo che una fotografia sia significativa, è perché le prestiamo un passato e un futuro”. Ecco, una foto, per essere narrativa, deve suggerire un tempo precedente, più o meno immediato, più o meno vasto, e un tempo futuro, cioè qualcosa che inevitabilmente sta per accadere.

Ci vogliono poi dei personaggi, perché solo i personaggi possono compiere azioni e solo le azioni di qualcuno, o qualcosa, possono darsi come storia. Non intendo solo i soggetti umani ritratti, per personaggi intendo, più ampiamente, attanti e istanze, punti di vista. Nel libro viene usato un termine generale che è apparenze, e lo si usa per indicare qualsiasi segno visivo che concorra a produrre un significato: è un’apparenza, e un personaggio, anche il fotografo che scatta, gli elementi fisici della foto, lo sfondo, la composizione, la luce. Ci devono essere delle “entità” che cercano di ottenere qualcosa, anche se fosse solo sorridere al fotografo.

Tutti questi elementi si relazionano tra di loro, non certo in modo casuale. Possono dire qualcosa solo quando si oppongono e si aiutano, e si ostacolano e si amplificano, solo quando, insomma, sono disposte sopra un conflitto, cioè a un mondo condiviso di valori in opposizione. Il bene e il male, la natura e la cultura, l’uomo e la bestia, la pace e la guerra. Come in un torta a strati, tutti i livelli verso la superficie ereditano la struttura e la forma dello strato più profondo. Non so se mi sono spiegato. Ma quello di cui vi ho appena parlato non è altro che la struttura del mito, di ogni mito. E quindi di ogni narrazione. E tutto è narrazione. Provate a pensare a una Saint Honoré, uso una metafora un po’ triviale sperando di non offendere l’intelligenza di nessuno. Sopra ci sono i bigné, possiamo pensare a loro come ai personaggi,  poi c’è la copertura di creme che sta per l’ambientazione e il contesto. Poi c’è il pan di spagna, magari imbevuto di qualcosa, che è quello che succede, le azioni dei personaggi. La crema sotto a questo strato sono i desideri dei personaggi, la loro visione del mondo, quello che vogliono e il motivo per cui entrano in conflitto tra loro. Sotto c’è la loro funzione, qualcosa tipo il buono, il cattivo, il mentore, il burlone, il guardiano della soglia. Ancora più giù potrebbe esserci la premessa drammatica, la morale o il messaggio, qualcosa tipo “la vendetta non è la soluzione”, “il bene trionferà sempre”, “la bellezza salverà il mondo”, “amare e lasciarci amare è tutto quello che possiamo fare nella vita”, ecc… e così via, a scendere, fino all’ultimo strato, proprio sopra il piatto… secondo voi cosa c’è lì?

C’è una contrapposizione, una dicotomia, una categoria, per dirla alla Greimas. Due valori, due concetti, in totale, intrinseca, ineluttabile, opposizione che fanno da sostegno a tutta l’architettura del senso: sacro e profano, bene e male, amore e odio, libertà e costrizione…

Tornando al nostro diagramma, quindi, avrete intuito che le frecce interne al cerchio sono tutte le apparenze, cioè gli elementi, che producono un significato mettendosi in relazione tra di loro. E vedete che più elementi producono significato, più l’area di significazione della foto, che è l’area del cerchio, si espande e prende dentro sempre più tempo e sempre più significato (lo spazio vuoto tutt’attorno).

Facciamo qualche esempio. Leggiamo le storie in queste foto, alcune sono famose, altre sono di Romagna Street Photography e alcune sono mie.

Prendiamo questa, ad esempio. André Kertész, Esztergom Hungary, 1917.

 

Cosa dice questa foto? C’è questo ragazzino che si rotola su un campo di stoppie, che capiamo essere ruvide e fastidiose. Ha un’aria innocente e serena, abbraccia un agnello, dal morbido vello, ne cerca la morbidezza, vediamo quel tocco con il palmo sul dorso dell’animale. Morbidezza e ruvidità, in fondo alla nostra torta. Poi l’innocenza dell’infanzia e l’inconfortevole crudezza del mondo adulto. È tutto qui.

Prendiamo una foto di Romagna Street Photography. Daniele Prati, Zona di rispetto, 2015.

Zona di rispetto

Che storia racconta questa foto? Ci sono due agricoltori, lo capiamo dal contesto e dagli elementi. Sono inattivi. Guardano il campo su cui dovranno lavorare? C’è un cartello relativo alla caccia, che parla di una zona di rispetto. Come se il rispetto interpersonale appartenesse a un mondo in dissoluzione, superato. Reso anacronistico dal progresso, dalla tecnologia, dai mezzi di comunicazione, dal modo di vivere dell’uomo moderno.

Prendiamo, per esempio, una foto che dialoga con questa. August Sander, Giovani contadini, 1914.

1-August-Sander-giovani-contadini-1914

 

Ecco, questo è il momento in cui i valori della foto precedente hanno preso il largo. Giovani contadini, vestiti da gentiluomini di città, con giacca e bastone, indumenti di un’altra classe sociale, inadatti a loro e al lavoro, sulla stesso sfondo di campi agricoli. Questa foto parla dell’urbanizzazione del lavoro, dei mutamenti sociali e del concetto capitalistico di classe.

Prendiamo un’altra mia foto, L’aperitivo in piazzetta, 2014.

L'aperitivo in piazzetta, Cesenatico

Cosa mi dite di questa? Una piazzetta di un borgo italiano. Qualcuno stava giocando a pallone, qualcuno compra un libro, due ragazze parlano, dei cuochi fanno una pausa prima di incominciare a lavorare. Dei tizi, al di là di una vetrina, fanno l’aperitivo. È chiaro, almeno secondo me, che qui stiamo parlando della placida, ma microeffervescente, vita in provincia. Stiamo parlando del “fottuto sabato del villaggio”, non trovate?

Prendiamo un esempio street. Garry Winogrand, non so l’anno.

Quella macchina si porta via l’uomo con cui la donna ha appena rotto? Quello sguardo nella stessa direzione è un momento di rimpianto? Ma la regola è “non si torna indietro”, e la nostra protagonista è una donna forte, emancipata, si vede. Qual è il prezzo da pagare, in termini di dolcezza e sensibilità, per essere una donna indipendente ai giorni d’oggi?

Prendiamo un altro esempio celebre. René Burri, Sao Paulo, 1960.

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Tra l’altro, se non lo sapevate, questa foto è stata di ispirazione a Christopher Nolan per il film Inception, per dire quale potenziale narrativo può avere una singola foto. Chi sono quelle figure in nero, eleganti, e cosa fanno su quel tetto. Ecco, la risposta di Nolan la conoscete, è un film bellissimo di tre ore.

Torniamo in Romagna. Una foto che ho scattato io ma potrebbe essere una Summer Attitude di Federico.

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Pareri? Estate, il ragazzino, un po’ cicciottello, ha preso il coraggio per affrontare la “pipa”, davanti a tutti, agli amici del mare, forse alla ragazzina che gli piace. Sta facendo il grande salto, quello che lo porterà a diventare un uomo, attraverso il superamento di vergogne immotivate. Forse lo porterà al primo bacio.

Dorothea Lange, non la celeberrima madre migrante, bensì White Angel Breadline, San Francisco, 1933.

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Stati Uniti, periodo della Grande Depressione, fila di poveretti per ricevere un pezzo di pane da un ente tipo Caritas o una mensa di poveri. Una foto che utilizza il potenziale narrativo di tutte le apparenze coinvolte e si riveste immediatamente di un grandissimo, evidente, intento sociale. La dignità, la maestosa statura morale di quest’uomo in primo piano, che sembra quello messo peggio nella fila, e nonostante la fame e la situazione, cerca di mantenere la sua identità, aggrappato a quel pensiero che gli fa giungere le mani, girare le spalle e sprofondare lo sguardo sotto alla tesa del cappello. Quel “pensiero”, quell’immagine che non vediamo, è solo suggerita, è nel cerchio del nostro diagramma, e lo rende grande come il mondo. Come fa una foto a diventare iconica? Così, quando estende la portata della sua significazione all’universale.

Forse il più bel libro di street photography, ever!The Americans, Robert Frank, con prefazione di Jack Kerouac. Questa foto si chiama New Orleans Trolley, 1955.

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Sempre Stati Uniti, anni del boom economico post seconda guerra mondiale. Questa è talmente densa, stratificata, che se ora facessimo un giro di interpretazioni ognuno di noi ne darebbe una diversa. Quindi, vi propongo la mia, che ho volontariamente reso ipertrofica per vanità. Io vedo questa foto come alcuni frames di un rullino 35 mm, presente no?. Una metafotografia, un metatesto, una myse en abime, tipo la realtà che guarda se stessa attraverso un supporto, un media, fatto per restituire la sua stessa immagine. È come se in questo gioco di rimandi, di inscatolamento matrioskesco di messaggi, il dato reale si indebolisse, che quel trolley del 1955 non sia mai transitato su quel tratto d’asfalto davanti all’obiettivo di Robert Frank, e che tutta quell’età dell’oro, di innocenza perduta, sia diventata mito, anzi mitologia. Americana.

Un altro esempio famoso. Mario Dondero, scomparso l’anno scorso purtroppo, Sorbona occupata, 1968.

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Gli intellettuali e la loro funzione nella società. Il loro rapporto con la realtà che entra dalle finestre. L’idealismo intellettuale legato alla giovinezza. E guardano noi, guardano il fotografo. Mi, ci, vi, stanno chiedendo “non combattiamo anche per te?”, “non credevi una volta anche tu in tutto questo?”. Prima di diventare uno di quelli in attesa fuori dalle finestre, nella realtà. Forse tra le file della gendarmeria.

L’ultimo esempio, ormai il gioco dovrebbe esservi chiaro. Secondo voi cosa sta succedendo in questa foto?

Fiera dei Becchi, Santarcangelo di Romagna

Loro sono amici di scuola, si ritrovano dopo tanti anni, alla festa di paese. Il belloccio con la bottiglia, il goffo, il più sensibile, la ragazza di cui tutti erano innamorati. La vita li ha portati in giro ma per stasera sono quelli di una volta. La sentite la tragedia, chi morirà per primo? Qualcuno lo sta già facendo. Tra quanto succederà? Credo uno di quelli di spalle, forse questo a destra.

Bibliografia

Capire una fotografia, John Berger